sabato 28 gennaio 2012
STATO DELL’UNIONE FORZATA: E’ ORA DI REFERENDUM
E così, dopo oltre un anno di passione condito da imbarazzanti manifestazioni di maldestro patriottismo, è passato anche il fatidico centocinquantesimo. 150 anni non sono davvero pochi. E si sentono. In questi 15 decenni, lunghissimi o fugaci, se ne sono viste di tutti i colori, spesso ottime cose, molto più spesso pessime. Tragiche, nefande, vergognose. Una serie quasi ininterrotta di guerre civili non dichiarate, colpi di stato o similtali, guerre mondiali vissute pericolosamente, avventure coloniali imbarazzanti e sanguinose. In aggiunta a tutto ciò, da ormai almeno vent’anni, abbiamo a che fare con un’anomala “dittatura parlamentare” e territoriale lazial-meridionale, fondata sullo sfruttamento fiscale spinto delle Regioni più produttive del Nord e sullo spreco incessante di denaro “pubblico”, cioè sostanzialmente nostro. Nostro di noi cittadini lombardi, veneti, emiliani e romagnoli.
Questo sacco del Nord, tanto bene analizzato e descritto dal professor Ricolfi nell’omonimo volume di qualche tempo fa, si salda peraltro alla peculiare struttura dell’apparato burocratico statale italiano, nato piemontese e divenuto in brevissimo tempo borbonico, nei modi e nella provenienza del personale amministrativo, con tutto ciò che ne è conseguito in termini di cultura di (mal)governo. Aggiungeteci il recente influsso delle rigidità normative tecnocratiche di produzione comunitaria e avrete la descrizione della tempesta perfetta; una tempesta che da anni si addensa sulle nostre terre e su quella galassia di “capitalismo molecolare” che le caratterizza, per usare un’espressione di Marco Alfieri, giornalista della Stampa e autore del saggio “Nord terra ostile”. Nel suo volume, la Padania veniva identificata come ostile alla sinistra, ma l’ostilità del Nord è, da un ventennio, essenzialmente verso lo Stato italiano unitario in quanto tale; ad andarci di mezzo è stata soprattutto la sinistra, elettoralmente parlando, perchè, più di ogni altro, tale schieramento politico si è eretto a difensore dei principi burocratici, impositivi e abnormemente redistributivi su cui lo stato tricolore si fonda.
Ora, il punto è che 150 anni, oltre ad essere veramente tanti, sembrano ormai diventati troppi per questa unione forzata in cui siamo andati a cacciarci a metà ottocento, certamente non senza la nostra responsabilità, ignavi come siamo stati nel subire le decisioni altrui o, peggio, nell’accodarci provincialisticamente all’indebitato carrozzone militarista savoiardo. Pazienza, quel che è fatto è fatto, tornare indietro non è possibile. Ma si può, anzi si deve, andare avanti. Perchè l’anno appena trascorso è il 2011, non il 1861, il tempo passa e le cose cambiano.
Ci siamo fatti 150 anni di unità, chi più chi meno, adesso è giunto il momento di verificare democraticamente lo stato dell’unione. E’ tempo che tutti gli indipendentisti e i sinceri democratici lombardi e veneti diano avvio al percorso che dovrà portarci, entro pochi anni, all’indizione dei referendum regionali per decidere se stia bene lo status quo oppure se le nostre popolazioni desiderino proclamare la secessione dallo Stato italiano e la costruzione di repubbliche indipendenti, inizialmente nell’ambito dell’Unione Europea, poi si vedrà. Gli eventi degli ultimi dodici mesi ci parlano di un mondo che cambia quasi alla velocità degli iPhone, può essere che la comunità continentale nei prossimi mesi o nei prossimi anni subisca cambiamenti oggi impensabili. Chissà.
Nel frattempo, qualunque cosa succeda nel mondo, è nostro dovere cominciare a decidere cosa può succedere qui. Senza imbarazzi, senza reticenze, senza falsi pudori provinciali, di chi pensa che non stia bene scegliere apertamente se essere indipendenti o se continuare a dover chiedere il permesso a Roma per costruire una linea della metropolitana o un peduncolo autostradale. Svegliamo la popolazione dormiente, gridiamo, in modo pacifico e sereno, ma sempre più ad alta voce: aprite gli occhi! Lombardi, Veneti, è tempo di decidere! Basta deleghe in bianco ad una classe digerente parlamentare che dell’ignavia ha fatto la propria bandiera, parassiti dormienti mentre norme e circolari costruivano un sistema di tosatura fiscale sempre più invasivo.
I referendum indipendentisti, oltre ad essere lo strumento principe per renderci liberi, hanno anche due grandissimi pregi comunicativi: entusiasmano (è bello scegliere di decidere!) e coalizzano senza bisogno di troppe formalizzazioni, di inutili gerarchie, di personalismi noiosi. Senza voler offendere nessuno, ciò che sta succedendo in Veneto (Stato) da qualche mese a questa parte è piuttosto imbarazzante. Per fortuna, sembra che le due fazioni del movimento indipendentista abbiano compreso che è tempo di concentrarsi sulla richiesta di indizione di un referendum da rivolgere all’amministrazione Zaia: al contempo, un ottimo obiettivo strategico e un’abile mossa politica. Allora, forza e coraggio, la strada è tracciata, ora va solo percorsa. Prima o poi il referendum arriverà e allora sì che ne vedremo delle belle. Si potrà finalmente discutere nel merito dell’opzione separatista, con i suoi pro (tantissimi) e i suoi contro (forse qualcuno serio ne esiste, chissà, magari ce lo spiegheranno i fautori dell’unità, dati alla mano). E soprattutto le persone potranno scegliere senza dover necessariamente veicolare la propria volontà attraverso il sostegno a questo o quel partito.
I partiti sono importanti, sia chiaro, sono il sale –ahimè spesso amaro– della rappresentanza democratica. Ma i partiti non sono tutto. Dal 1990, qui in Lombardia e in Veneto, siamo abituati a far coincidere le voglie più o meno separatiste della popolazione con il numero di voti incassati dalla Lega. Tutto ciò è dannatamente sbagliato. Il referendum per l’indipendenza è l’unico modo serio per valutare l’effettiva volontà di distacco dei cittadini. Per fortuna l’indipendentismo militante si sta strutturando politicamente in modo aperto e visibile, potendo così rappresentare una alternativa esplicita e concreta al partito di Bossi e a quelli unitaristi, ma l’obiettivo prioritario per i fautori della secessione deve restare il referendum. Non le gerarchie, non i rapporti formali fra strutture partitiche. Proprio per evitare che nuovi personalismi, nuove contrapposizioni organizzative, nuovi equivoci possano ancora una volta limitare al consenso verso questa o quella formazione la consistenza numerica di una scelta che dev’essere popolare.
Tocca a noi, il popolo lombardo e il popolo veneto, decidere. Ai militanti indipendentisti il compito di definire e costruire il sentiero giuridico per arrivare al fatidico giorno. Alle persone comuni, ai cittadini tutti, l’onere e l’onore di compiere, finalmente dopo 150 anni, una scelta. Dentro o fuori. Finalmente, per davvero................
di Alessandro Storti - 28 gennaio 2012
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento