L’ennesimo scandalo politico della Giunta lombarda avviene durante una nuova stretta di Roma su quel poco di autonomia di cui poteva godere una nazione da 10 milioni di abitanti come la Lombardia. In un quadro europeo in pieno fermento, la Lombardia non può permettersi di rimanere ancorata ad un sistema fallimentare come quello italiano.
In principio fu la diminuzione di eletti
nei Consigli Comunali, l’ineleggibilità delle province con i
conseguenti accorpamenti, poi venne l’ora della tesoreria unica e della
diminuzione di trasferimenti per servizi garantiti dagli enti locali,
ora siamo al ritiro di deleghe per le regioni e al controllo sui
lampioni comunali.
Un salto all’indietro per il sistema
Italia, che ha finalmente deciso di mostrare il proprio naturale volto,
quello nato dalla violenza del cosiddetto “Risorgimento”, assemblato in
un centralismo d’ispirazione napoleonica, culminato nel fascismo.
Nemmeno la Repubblica italiana si è discostata molto dal solco tracciato
150 e passa anni fa. Vennero riprese le “Regioni” create a tavolino in
base a modelli derivati dall’epoca romana (la Regione Emilia – Romagna
ne è l’esempio perfetto), ma solo 30 anni più tardi vennero messe in
funzione.
Il sistema Italia si vide costretto a
concedere, nel 2001, una riforma del Titolo V concedendo ulteriore
autonomia agli enti locali, in procinto di revisione in queste ore.
Dovendo giustificare queste manovre accentratrici, son state
opportunamente scoperchiate le azioni di personaggi che hanno sempre
fatto parte del sistema Italia e ne sono stati i migliori sponsor,
specialmente durante le sacrosante rivendicazioni lombarde.
Il “pregio” di queste manovre dannose è
principalmente uno: lo Stato italiano e i suoi supporter non si
nascondono più, rigettano ogni tipo di “autonomia” o di “devoluzione”
(racchiudendo confusamente sempre tutto nella definizione
“federalismo”), esso è nato accentratore e tale rimarrà sino alla sua
fine. Tutto ciò rende inutile quindi qualsiasi proposito autonomista di
“macroregione” proposto proprio da Formigoni in un caso e dalla Lega
Nord in un altro.
Come si può proporre una “super-regione”
che acquisisca nuovi poteri (e nella versione maroniana, trattenere
anche proprie imposte), quando Roma dimostra che con un colpo di penna
può annullare competenze conquistate dopo anni di battaglie? Quale può
essere il potere di una nuova “super-regione” nel panorama europeo,
quando sempre Roma, in nome del “porre la disciplina funzionale a garantire l’unità giuridica ed economica della Repubblica”,
revoca a sé i rapporti internazionali e comunitari che la Lombardia
può intrattenere, mentre Austria, Paesi Bassi e Finlandia possono alzare
la voce sul destino dell’Eurozona? Come può una nazione da 10 milioni
di abitanti non poter pubblicizzare adeguatamente i propri 9 patrimoni
dell’Umanità UNESCO ed attrarre turismo, per doversi conformare a chi ne
ha quasi la metà, come Lazio e Campania? Come si può ragionare sul
fabbisogno energetico delle imprese lombarde, quando tutto è revocato
nelle mani dei soliti noti romani?
È quindi chiaro che i desideri di
“macroregione” non siano altro che tentativi di riprendere consensi
nell’elettorato lombardo, sia da parte di Formigoni sia da parte della
Lega Nord entrambi al governo della Giunta lombarda da anni, e quindi
primi responsabili della situazione attuale lombarda.
Uno dei “quattro motori dell’Europa”,
assieme la Lombardia, è la Catalunya, e il proprio Presidente Artur Mas,
preso atto dall’impossibilità di continuare nella via dell’autonomia
con lo Stato spagnolo, ha scelto di donare al proprio popolo la
possibilità di votare un referendum per l’autodeterminazione. Perché
secondo Formigoni e Maroni, noi lombardi non possiamo fare altrettanto
ma solo desiderare un’utopica “macro-regione?
Perché non possiamo godere della stessa dignità dei nostri fratelli europei – catalani?
Formigoni in questo momento politico sta
scontando tutti i suoi gravissimi ed imperdonabili errori, ma noi non
possiamo fare a meno di giudicarlo negativamente per quella che
riteniamo essere la mancanza più grande: il non rendere i lombardi
artefici del proprio destino.
di Giovanni Roversi
portavoce di pro Lombardia Indipendenza
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