mercoledì 4 settembre 2013

Antica e nuova toponomastica del centro di Brescia: tra colonialismo italiano e identità lombarda.


di ALFREDO GATTA ( pro Lombardia indipendenza-Brescia)

Le finalità di Pro Lombardia Indipendenza non si riducono, attraverso un’azione di carattere democratico e politico, alla ricerca delle modalità e del consenso per lo svolgimento di un referendum popolare che renda la nostra comunità indipendente dalla Stato italiano.
Per un movimento  che si vuol definire autenticamente indipendentista è anche prioritaria, e diremmo quasi propedeutica a tutto il resto, la difesa e la riscoperta dell’identità del  suo territorio.
Solo in questo modo noi possiamo essere in grado di dare ai nostri connazionali  delle risposte corrette a delle fondamentali domande:
Chi sono i Lombardi? Che cosa vogliono? Che lingua parlano? Che problema hanno con lo Stato italiano? Che vantaggi porterebbe l’indipendenza della Lombardia? Parlare di colonialismo italiano non è un’esagerazione? In fondo la Lombardia non fa parte di un regine democratico comparabile con quello di qualsiasi Paese europeo?
Vorremmo focalizzarci proprio sulle ultime due domande per spiegare il motivo per il quale riteniamo la nostra Lombardia colonia dello Stato Italiano.
Lo storico messicano Pablo Gonzales Casanova sostiene che il dominio coloniale non si esprime solamente nelle forme dello sfruttamento economico e della sottrazione delle risorse naturali ma anche nei termini della discriminazione giuridica, politica, culturale e linguistica.
In effetti lo Stato italiano non si è solo limitato nei nostri confronti ad una colossale rapina fiscale oltreché ad un continuo depauperamento delle nostre risorse naturali, lavorative ed umane, ma ha proceduto, quasi a voler prevenire e sterilizzare ogni possibile tentativo futuro di affrancamento del  sentimento lombardo e di rivendicazione indipendentista, ad un progressivo annullamento della nostra identità linguistica e culturale, al fine di omologarci nell’artificiale comunità italiana.
Una cartina al tornasole molto interessante di quello che stiamo sostenendo, ci viene offerta dalla toponomastica  bresciana, ovvero lo studio storico dei nomi che noi, o chi per noi, diamo al nostro territorio.
Difatti prima dell’occupazione italiana, le strade, i vicoli e gli incroci conservavano le antiche denominazioni medioevali di contrada, tresanda e cantoni. Le vie cittadine che ora portano un’unica denominazione, erano allora suddivise in vari tratti, ognuno con il proprio nome.
In origine era il popolo ad attribuire al suo territorio e alle strade che lo costituivano nomi che nascevano spontaneamente da qualcosa che le distingueva, poteva essere un monumento, un edificio pubblico o un rudere: ad esempio, Torre d’Ercole, Arsenale, Fontana Coperta, Prigioni; oppure da una famiglia che vi abitava come i Calzavellia, i Rizzardo, i Soncino o da una corporazione che vi aveva i laboratori, infatti c’erano i cappellai, gli orefici ed i mercanti, oppure da un’ arte o da un mestiere che vi si esercitava ovvero Bombassari, Bottai, Confettori. Numerosi i nomi dovuti alle caratteristiche strutturali della strada (larga, pendente, declivio) o alle caratteristiche climatiche e idrauliche (frigido e cantarane) . Molti i nomi di una chiesa, di una cappella o di un santo: Santa Giulia, Santa Francesca Romana, San Desiderio, San Martino, San Benedetto. Anche la fantasia contribuì alle denominazioni: Sardella, Gioiosa, Coppa Mosche, della Quiete, delle Lucertole, dei Mille Fiori; e infine l’astronomia: del Sole, della Luna, delle Stelle.
Va precisato che non tutte le contrade portavano scritto il loro nome sugli angoli e sugli ingressi delle case mancavano il numero civico per la loro identificazione.
La prima svolta nella nostra toponomastica risale al 1797 a seguito dell’invasione militare di Brescia da parte dei  Francesi che assaltarono grazie ai loro collaborazionisti giacobini il Broletto il 18 marzo di quell’anno.
Il successivo Governo Provvisorio della Repubblica Bresciana, Stato per l’appunto  provvisorio sotto il controllo napoleonico, con Decreto del 18 aprile 1797 ordinò che sugli angoli delle contrade, piazze o tresande, venisse iscritto il proprio nome con carattere bodoniano su striscia verde e sulle porte delle case il numero civico onde facilitare la ricerca di un edificio. La nuova numerazione però non era né progressiva, né ripartita in pari e dispari.
Tuttavia dobbiamo precisare che nonostante i giacobini, con furore iconoclasta, distrussero e rimossero  numerosi leoni marciani marmorei  che ricordavano la precedente dominazione veneziana presenti sugli edifici pubblici  e nelle piazze della città, per quanto riguarda la denominazione di strade e vicoli apportarono di fatto solo un ammodernamento senza entrare nel merito dei nomi dati ai luoghi dai Bresciani.
Anche gli anni successivi con il passaggio di Brescia prima alla Repubblica Cisalpina sempre sotto il controllo napoleonico e poi definitivamente all’Austria dopo il Congresso di Vienna del 1814-1815 non portarono grosse novità dal punto di vista toponomastico.
Il vero stravolgimento e massacro della nostra identità lo assistemmo a partire dal 1862 ad opera, superfluo precisarlo, degli invasori rappresentanti dello Stato italiano.
Una “damnatio mamoriae”, un’arroganza colonialista che può essere compresa probabilmente solo da chi la visse direttamente sulla propria pelle.
Cosa successe?
Semplicemente il primo gennaio 1862 il Consiglio Comunale deliberò che gran parte delle denominazioni tradizionali di contrade e piazze venissero cancellate e ribattezzate con nomi di avvenimenti, personaggi e località della storia la cui scelta però seguisse un criterio di “interesse nazionale italiano”.
Concretamente dal 1862 fino al 1909 i termini di contrada, rue, tresanda e cantone scomparvero per lasciare spazio ai termini via e vicolo; la numerazione degli edifici venne sostituita da numeri pari a destra di chi lascia il centro e incisi come le nuove denominazioni delle strade su lastre di botticino riempite di nero (Delibera Consiglio Comunale 1896); i sagrati delle chiese, dette allora piazzette e luoghi di ritrovo per i cittadini bresciani, vennero inglobate con poche eccezioni nella strada che le attraversavano.
Con il riassetto della nuova toponomastica del 1909 molti nomi vennero eliminati e sostituiti con quelli dei “patrioti del nazionalismo italiano” oltreché  con quelli imposti dalla allora dominante  cultura massonica.
Ci vorrebbe un libro intero per descrivere tutti i cambiamenti avvenuti, ma tanto per rendere l’idea chi abitava in contrada del Ruotone si ritrovò in via Nino Bixio (efferato assassino protagonista della fucilazione di massa ai danni di civili inermi a Bronte) , chi camminava in, per l’appunto, contrada del Passeggio si ritrovò in via dei Mille, chi aveva il suo laboratorio in contrada degli Orefici dovette dire ai suoi clienti che ora lavorava in corso Goffredo Mameli.
Tutto questo può fare alla fine sorridere e sembrare una cosa futile ma se tutti noi Bresciani ormai riteniamo naturale parlare di corso Garibaldi invece che di corso della Pallata o di corso Zanardelli invece che di contrada dei Portici, possiamo intuire la profondità del lavaggio identitario che è stato fatto ai nostri danni.
Riteniamo quindi sia auspicabile che ognuno di noi, rivendicando il sacrosanto diritto all’autodeterminazione per la nostra terra, la smetta di pensare da Bresciano italiano e inizi invece a pensare da Bresciano lombardo intraprendendo  un percorso di “resistenza e rivendicazione culturale” che vada oltre la superficialità leghista del banale cartello bilingue Brescia/Brèsa o Rivoltella/Riultèla.
La strada non è semplice e richiede impegno e conoscenza, la sezione bresciana di Pro Lombardia Indipendenza ha setacciato gli archivi dello Stato italiano presenti in città e continua a farlo cercando di mettere in salvo documenti prima che qualche mano ministeriale italiana  li stracci definitivamente nel nome di qualche “spending review”.
Il nostro studio della toponomastica locale è un piccolo passo in avanti, ci ha infatti permesso di venire a conoscenza dell’antico nome di qualsiasi via del centro bresciano, un risultato culturale concreto che vogliamo divulgare e mettere a disposizione di qualunque Bresciano che, una volta  sensibilizzato sull’argomento, fosse interessato.
In caso contrario potremo continuare a ritrovarci per festeggiare le vittorie della nostra squadra calcistica del cuore, magari la selezione statale italiana tanto cara a molti, in piazzale della Repubblica dimenticandoci definitivamente che i nostri avi l’avevano battezzata e la chiamavano Porta S. Nazaro; avremmo allora la conferma che la vittoria dei “Risorgimentalisti “è stata completa.

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