di ALFREDO GATTA ( pro Lombardia indipendenza-Brescia)
Le finalità di Pro Lombardia Indipendenza
non si riducono, attraverso un’azione di carattere democratico e
politico, alla ricerca delle modalità e del consenso per lo svolgimento
di un referendum popolare che renda la nostra comunità indipendente
dalla Stato italiano.
Per un movimento che si vuol
definire autenticamente indipendentista è anche prioritaria, e diremmo
quasi propedeutica a tutto il resto, la difesa e la riscoperta
dell’identità del suo territorio.
Solo in questo modo noi possiamo essere
in grado di dare ai nostri connazionali delle risposte corrette a delle
fondamentali domande:
Chi sono i Lombardi? Che cosa vogliono?
Che lingua parlano? Che problema hanno con lo Stato italiano? Che
vantaggi porterebbe l’indipendenza della Lombardia? Parlare di
colonialismo italiano non è un’esagerazione? In fondo la Lombardia non
fa parte di un regine democratico comparabile con quello di qualsiasi
Paese europeo?
Vorremmo focalizzarci proprio sulle
ultime due domande per spiegare il motivo per il quale riteniamo la
nostra Lombardia colonia dello Stato Italiano.
Lo storico messicano Pablo Gonzales
Casanova sostiene che il dominio coloniale non si esprime solamente
nelle forme dello sfruttamento economico e della sottrazione delle
risorse naturali ma anche nei termini della discriminazione giuridica,
politica, culturale e linguistica.
In effetti lo Stato italiano non
si è solo limitato nei nostri confronti ad una colossale rapina fiscale
oltreché ad un continuo depauperamento delle nostre risorse naturali,
lavorative ed umane, ma ha proceduto, quasi a voler prevenire e
sterilizzare ogni possibile tentativo futuro di affrancamento del
sentimento lombardo e di rivendicazione indipendentista, ad un
progressivo annullamento della nostra identità linguistica e culturale,
al fine di omologarci nell’artificiale comunità italiana.
Una cartina al tornasole molto
interessante di quello che stiamo sostenendo, ci viene offerta dalla
toponomastica bresciana, ovvero lo studio storico dei nomi che noi, o
chi per noi, diamo al nostro territorio.
Difatti prima dell’occupazione
italiana, le strade, i vicoli e gli incroci conservavano le antiche
denominazioni medioevali di contrada, tresanda e cantoni. Le vie
cittadine che ora portano un’unica denominazione, erano allora suddivise
in vari tratti, ognuno con il proprio nome.
In origine era il popolo ad
attribuire al suo territorio e alle strade che lo costituivano nomi che
nascevano spontaneamente da qualcosa che le distingueva, poteva essere
un monumento, un edificio pubblico o un rudere: ad esempio, Torre d’Ercole, Arsenale, Fontana Coperta, Prigioni; oppure da una famiglia che vi abitava come i Calzavellia, i Rizzardo, i Soncino o da una corporazione che vi aveva i laboratori, infatti c’erano i cappellai, gli orefici ed i mercanti, oppure da un’ arte o da un mestiere che vi si esercitava ovvero Bombassari, Bottai, Confettori. Numerosi i nomi dovuti alle caratteristiche strutturali della strada (larga, pendente, declivio) o alle caratteristiche climatiche e idrauliche (frigido e cantarane) . Molti i nomi di una chiesa, di una cappella o di un santo: Santa Giulia, Santa Francesca Romana, San Desiderio, San Martino, San Benedetto. Anche la fantasia contribuì alle denominazioni: Sardella, Gioiosa, Coppa Mosche, della Quiete, delle Lucertole, dei Mille Fiori; e infine l’astronomia: del Sole, della Luna, delle Stelle.
Va precisato che non tutte le contrade
portavano scritto il loro nome sugli angoli e sugli ingressi delle case
mancavano il numero civico per la loro identificazione.
La prima svolta nella nostra
toponomastica risale al 1797 a seguito dell’invasione militare di
Brescia da parte dei Francesi che assaltarono grazie ai loro
collaborazionisti giacobini il Broletto il 18 marzo di quell’anno.
Il successivo Governo Provvisorio della
Repubblica Bresciana, Stato per l’appunto provvisorio sotto il
controllo napoleonico, con Decreto del 18 aprile 1797 ordinò che sugli
angoli delle contrade, piazze o tresande, venisse iscritto il proprio
nome con carattere bodoniano su striscia verde e sulle porte delle case
il numero civico onde facilitare la ricerca di un edificio. La nuova
numerazione però non era né progressiva, né ripartita in pari e dispari.
Tuttavia dobbiamo precisare che
nonostante i giacobini, con furore iconoclasta, distrussero e rimossero
numerosi leoni marciani marmorei che ricordavano la precedente
dominazione veneziana presenti sugli edifici pubblici e nelle piazze
della città, per quanto riguarda la denominazione di strade e vicoli
apportarono di fatto solo un ammodernamento senza entrare nel merito dei
nomi dati ai luoghi dai Bresciani.
Anche gli anni successivi con il
passaggio di Brescia prima alla Repubblica Cisalpina sempre sotto il
controllo napoleonico e poi definitivamente all’Austria dopo il
Congresso di Vienna del 1814-1815 non portarono grosse novità dal punto
di vista toponomastico.
Il vero stravolgimento e massacro
della nostra identità lo assistemmo a partire dal 1862 ad opera,
superfluo precisarlo, degli invasori rappresentanti dello Stato
italiano.
Una “damnatio mamoriae”, un’arroganza
colonialista che può essere compresa probabilmente solo da chi la visse
direttamente sulla propria pelle.
Cosa successe?
Semplicemente il primo gennaio
1862 il Consiglio Comunale deliberò che gran parte delle denominazioni
tradizionali di contrade e piazze venissero cancellate e ribattezzate
con nomi di avvenimenti, personaggi e località della storia la cui
scelta però seguisse un criterio di “interesse nazionale italiano”.
Concretamente dal 1862 fino al 1909 i
termini di contrada, rue, tresanda e cantone scomparvero per lasciare
spazio ai termini via e vicolo; la numerazione degli edifici venne
sostituita da numeri pari a destra di chi lascia il centro e incisi come
le nuove denominazioni delle strade su lastre di botticino riempite di
nero (Delibera Consiglio Comunale 1896); i sagrati delle chiese, dette
allora piazzette e luoghi di ritrovo per i cittadini bresciani, vennero
inglobate con poche eccezioni nella strada che le attraversavano.
Con il riassetto della nuova
toponomastica del 1909 molti nomi vennero eliminati e sostituiti con
quelli dei “patrioti del nazionalismo italiano” oltreché con quelli
imposti dalla allora dominante cultura massonica.
Ci vorrebbe un libro intero per
descrivere tutti i cambiamenti avvenuti, ma tanto per rendere l’idea chi
abitava in contrada del Ruotone si ritrovò in via Nino Bixio (efferato
assassino protagonista della fucilazione di massa ai danni di civili
inermi a Bronte) , chi camminava in, per l’appunto, contrada del
Passeggio si ritrovò in via dei Mille, chi aveva il suo laboratorio in
contrada degli Orefici dovette dire ai suoi clienti che ora lavorava in
corso Goffredo Mameli.
Tutto questo può fare alla fine sorridere
e sembrare una cosa futile ma se tutti noi Bresciani ormai riteniamo
naturale parlare di corso Garibaldi invece che di corso della Pallata o
di corso Zanardelli invece che di contrada dei Portici, possiamo intuire
la profondità del lavaggio identitario che è stato fatto ai nostri
danni.
Riteniamo quindi sia auspicabile
che ognuno di noi, rivendicando il sacrosanto diritto
all’autodeterminazione per la nostra terra, la smetta di pensare da
Bresciano italiano e inizi invece a pensare da Bresciano lombardo
intraprendendo un percorso di “resistenza e rivendicazione culturale”
che vada oltre la superficialità leghista del banale cartello bilingue
Brescia/Brèsa o Rivoltella/Riultèla.
La strada non è semplice e richiede
impegno e conoscenza, la sezione bresciana di Pro Lombardia Indipendenza
ha setacciato gli archivi dello Stato italiano presenti in città e
continua a farlo cercando di mettere in salvo documenti prima che
qualche mano ministeriale italiana li stracci definitivamente nel nome
di qualche “spending review”.
Il nostro studio della
toponomastica locale è un piccolo passo in avanti, ci ha infatti
permesso di venire a conoscenza dell’antico nome di qualsiasi via del
centro bresciano, un risultato culturale concreto che vogliamo divulgare
e mettere a disposizione di qualunque Bresciano che, una volta
sensibilizzato sull’argomento, fosse interessato.
In caso contrario potremo continuare a
ritrovarci per festeggiare le vittorie della nostra squadra calcistica
del cuore, magari la selezione statale italiana tanto cara a molti, in
piazzale della Repubblica dimenticandoci definitivamente che i nostri
avi l’avevano battezzata e la chiamavano Porta S. Nazaro; avremmo allora
la conferma che la vittoria dei “Risorgimentalisti “è stata completa.
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