di Alessandro Storti - 1 ottobre 2011
mercoledì 5 ottobre 2011
Immigrazione in Lombardia: riflessione
Dare un giudizio generale sugli immigrati è perfettamente legittimo, anche quando si basi su caratteristiche statisticamente generali e non su dati prettamente personali. Ad esempio è ragionevole affermare che gli immigrati provenienti dal Medio-Oriente e dal NordAfrica possono presentare maggiori difficoltà di integrazione, anche gravi, a causa della prevalente fede islamica che li caratterizza.
Alla luce di questo approccio, sono favorevole a politiche pubbliche che distinguano i flussi migratori a seconda delle provenienze macroregionali.
A livello numerico, è fuor di dubbio che le politiche pubbliche non possano fingere che ci sia spazio per tutti, quindi sono favorevole a limitazioni nel numero di permessi e a limitazioni nel diritto di permanenza oltre un determinato tempo in assenza, ad esempio, di lavoro stabile. Naturalmente non vedo negli immigrati degli oggetti o, peggio, delle bestie, e quindi, essendo essi stessi persone come me, cerco di riflettere sugli effetti di politiche restrittive dotate di meccanismi eccessivamente automatici (non puoi espellere su due piedi una persona che ha perso il lavoro in un momento di crisi economica, specialmente se ha stabilito qui il suo nucleo familiare; questo non è buonismo, è umanità).
Sempre a livello numerico, è sbagliato fingere che la nostra società non si regga anche sull'apporto di manodopera straniera, ed è sbagliato fingere che non sia alle viste un tracollo demografico autoctono. Naturalmente si può ragionare su quali siano anche le cause implicite generate dal sistema tali da favorire gli aspetti negativi di questi trend. Ad esempio una scolarizzazione che premi eccessivamente la logica dello "scaldare il banco" e normative fiscali che risultino punitive per chi mette su famiglia sono i primi nemici da contrastare per evitare di dover dipendere eccessivamente dalla manodopera straniera e dalla natalità dei nuovi arrivati. Ma non fingiamo che i lombardi si riproducano come conigli e che abbiano tutti voglia di fare qualsiasi lavoro venga loro proposto: se c'è carenza di chimici e panettieri, qualcosa vorrà pur dire.
Parlando di integrazione culturale e di rivendicazioni territoriali, sono fiducioso sul fatto che i lombardi-non-italiani siano potenzialmente molto più pronti a sostenere le ragioni schiette di un autogoverno spinto (fino all'indipendenza totale) rispetto a torme di lombardi doc che sembra siano drogati dal tricolore e animati da un self-hate spaventosamente forte.
La mia strada all'indipendenza coinvolge qualsiasi cittadino lombardo. Non abbiamo bisogno di "nemici interni" (ce ne sono già troppi), abbiamo bisogno di raggiungere l'indipendenza. Un obiettivo chiaro e, per certi aspetti, semplice. La strada per l'indipendenza non passa necessariamente per l'identità, è molto più facile farla passare per l'interesse, un discorso che tutti capiscono e di fronte al quale nessuno reasta realmente indifferente.
Raggiunta l'indipendenza, le cose non potranno che migliorare. Solo con i nostri soldi e con il controllo della legislazione, della giustizia e dell'ordine pubblico potremo gestire la sfida migratoria in maniera intelligente e proficua per tutti: lombardi doc e nuovi lombardi.
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