di CARLO LOTTIERI
fonte: L'intraprendente
Chi mai avesse nutrito dubbi su cosa sia questa Europa, quale sia il suo tasso di liberalismo e la sua attenzione alle vere esigenze delle varie popolazioni del continente, l’altro giorno ha avuto indicazioni molto chiare dal presidente del Consiglio europeo, Herman van Rompuy, che in un’intervista allo spagnolo “Cadena Ser” si è espresso in termini molto netti sulla questione catalana e, di fatto, anche su quella scozzese. Per van Rompuy, in effetti, “Se c’è una parte della Spagna che vuole uscirne, ilTrattato è molto chiaro: deve chiedere l’adesione” all’Unione.
Qual è in senso di tale dichiarazione? Semplice. Il presidente del Consiglio europeo entra a gamba tesa nel confronto – già molto duro – tra spagnoli e catalani, sostenendo che una Barcellona indipendente si troverebbe fuori dalla Ue e costretta a iniziare da zero la propria pratica di adesione. Contrariamente a quanto affermato da van Rompuy, non è affatto vero che il trattato sia chiaro alriguardo. Si è allora trattato di una presa di posizione politica, come lo stesso Rompuy ha illustrato chiaramente quando ha dichiarato di augurarsi che una situazione di questo tipo non si produca: “né in Spagna né in altri paesi”. Il riferimento a Catalogna e Scozia al tempo stesso è stato quindi netto, tanto più che egli ha concluso con la formulazione di un augurio a “che tutti continuino ad essere membri del proprio paese e il proprio paese membro dell’Ue’.
Non c’è da stupirsi. L’apparato di Bruxelles è un apparato costruito dagli Stati, da questi Stati, e ovviamente è schierato a difesa dello status quo. L’Europa si leva la maschera: e si rivela un’istituzione profondamente avversa al “diritto di voto”.
In fondo, l’accordo tra Alex Salmond e David Cameron – che hanno fissato per il prossimo 18 settembre prossimo la data del referendum sull’indipendenza – è il frutto di una cultura che preferisce risolvere ogni vertenza sui confini grazie al voto. Esattamente come il Canada di fronte alQuébec (dove già si è votato due volte), i britannici hanno pensato che fosse ragionevole far decidere agli elettori. Una procedura simile aveva adottato la Svizzera quando si era trovata a gestire una tensione “interna”, con una parte del cantone di Berna che voleva rendersi autonoma. Si fecero votare i cittadini e venne alla luce il cantone del Giura.
In netto contrasto con la cultura anglosassone ed elvetica, gli eurocrati di Bruxelles difendono invece l’esistente. Poco importa che la Catalogna subisca una grave rapina territoriale e che oltre il 70% della sua popolazione sogni di vivere in uno Stato indipendente. Van Rompuy gioca l’arma deiricatti e lascia intendere che vi saranno conseguenze assai brutte per l’economia catalana se gli elettori non ubbidiranno alle indicazioni della tecnostruttura europea.
Van Rompuy ha parlato di Scozia e Catalogna, ma in realtà non pensava solo a questi due casi. Tutti sanno che il sistema di potere attuale – basato sugli Stati nazionali e su questa loro proiezione analogamente statalista che si chiama Unione europea – è sempre più fragile. Il giorno in cui la Catalogna dovesse staccarsi, cosa succederebbe nel resto d’Europa? Che fine farebbe il Belgio? Quale destino potrebbe avere l’Italia? È vero che da noi c’è la Lega, che tiene “in frigorifero” una buona quota del voto indipendentista e poi lo gioca sul tavolo di politiche nazionaliste, ma il disgregarsi della Catalogna avrebbe effetti rilevanti anche su Roma.
L’Unione è stata inventata dagli Stati nazionali: non lo si deve dimenticare. È un cartello costruito dai politici nazionali, che oggi cercano di trasferire una parte del loro potere a Bruxelles proprio al fine di conservarlo al meglio. Una vera concorrenza tra Stati, ora, e tra realtà più piccole e territorialmente definite (Scozia, Catalogna, Paesi Baschi, Veneto, Lombardia e via dicendo), in futuro, obbligherebbe le classi politiche a chiedere meno imposte e a usare meglio le risorse sottratte. La concorrenza tra istituzioni limita il potere dei governanti e spinge verso comportamenti virtuosi. Ovviamente questo non piace a Roma e a Madrid, e certamente non piace a Bruxelles.
Le forze autenticamente liberali, allora, devono farsi le idee chiare su alcune questioni. Devono capire che questa Europa è un disastro, poiché non è un mercato libero (al massimo è un mercato comune, ma chiuso verso l’esterno) e perché è una costruzione dirigista, che limita le libertà degli europei con direttive di ogni sorta. Devono inoltre avere ben chiaro che tra Stati nazionali ed Europa vi è un legame strettissimo, e che l’Europa non è certo l’alternativa al fallimento epocale dello Stato moderno. Devono infine comprendere che un processo legale e democratico di disgregazione degli Stati nazionali può solo giovare agli europei e allargare le loro libertà.
Tutti i van Rompuy d’Europa non vogliono farci votare? Bene: rendiamoci conto di quanto la loro posizione sia indifendibile e fuori dal tempo. Gli argomenti più solidi sono dalla nostra parte. C’è soltanto bisogno di tempo e capacità persuasiva.
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