Le elezioni europee sono imminenti e la tematica chiave di questa votazione pare proprio essere lo scontro aperto tra due fazioni: “l’europeismo” e “l’antieuropeismo”, con conseguente scetticismo (se proprio non si può definire odio aperto) verso la moneta unica, l’Euro. Da una parte troviamo i fautori dello status quo per l’Unione (come il Partito Democratico), ligi a citare e rispettare slogan preconfezionati piuttosto che proporre soluzioni per un miglioramento dei rapporti tra i cittadini e le istituzioni europee, dall’altro vediamo partiti “anti – sistema” in voga (come il Movimento 5 Stelle) o sigle sull’orlo dell’oblio politico (come la Lega Nord o Alleanza nazionale), propositori di idee tanto radicali quanto raffazzonate tese unicamente a raccogliere un consenso elettorale necessario per la propria sopravvivenza, sfruttando quel sentimento di frustrazione tanto profondo quanto giustificato di “euroscetticismo”.
È infatti assolutamente impossibile che, votando una delle sigle prima menzionate, “si possa uscire dall’Euro” o “si possano riscrivere i trattati battendo i pugni sul tavolo” (senza contare che alcuni di questi trattati così criticati son stati precedentemente votati proprio dai partiti che ora propongono di abolirli, vedasi l’attività di governo di Lega Nord e Alleanza nazionale) come spesso si legge nei “programmi” elettorali; queste elezioni sono dedicate al rinnovo del Parlamento Europeo, organo piuttosto marginale (seppur attivo e costoso) rispetto, ad esempio, alla Commissione Europea. Queste elezioni servono quindi a null’altro che mantenere in vita alcune sigle politiche (tramite i rimborsi o le prebende degli europarlamentari presumibilmente eletti) nei casi più estremi o a “guadagnare peso politico” nel dibattito politico italiano; non è presente quindi una proposta chiara e fattibile per quel rinnovamento delle istituzioni europee oggi assolutamente necessario. L’unica soluzione per una nuova Europa viene dai processi di autodeterminazione in corso in Catalogna (attuale regione spagnola il cui capoluogo è Barcellona) e in Scozia: entrambe chiedono l’indipendenza dalle attuali forme di Stato cui fanno parte (Stato spagnolo e Regno Unito), ma propongono di rimanere in un’Unione Europea al pari di altri Stati.
Si potrebbe quindi innescare un interessante e auspicabile processo di ricostituzione della struttura e identità stessa dell’Unione Europea: non più basata sulle volontà espresse dagli interessi dei singoli Stati nati dalla riorganizzazione post crollo del muro di Berlino, ma sulle attuali regioni, fondata sulle proprie varietà e diversità. Per quale ragione infatti la Catalogna o la Lombardia non dovrebbero aspirare ad un proprio posto al sole nel panorama europeo, visto che la stessa Europa riconosce come Stati entità simili se non inferiori come Austria o Slovenia, e da essi fa influenzare le proprie politiche e le proprie decisioni? Perché il Lussemburgo può partecipare, forte del proprio mezzo milione di abitanti, a scrivere proposte economiche e politiche europee (e che hanno valore effettivo da Lisbona a Riga), mentre all’oltre milione di bresciani viene scippato il diritto ad avere un organo di autogoverno quale era quello provinciale? È una discriminazione palese,non solo un deficit democratico ma una stortura che si riflette sui rapporti economici tra gli Stati stessi; la novella antipatia ed inimicizia verso la Germania nasce proprio dalla prosperità della sua economia in un momento di crisi, alimentando pregiudizi tedescofobi piuttosto fantasiosi riguardo la vera natura della moneta unica, dipinta come strumento necessario unicamente all’assoggettamento teutonico degli Stati con un’economia più debole.
La realtà dei fatti non è questa ma, come spesso accade, più semplice e cruda: la moneta unica (come ben spiegato dall’economista Jesús Huerta de Soto, docente di Economia Politica presso l’Università Rey Juan Carlos di Madrid in un occasional paper pubblicato dall’Istituto Bruno Leoni e fruibile gratuitamente in internet) non ha fatto altro che mettere in aperta concorrenza Stati efficienti con altri più corrotti, togliendo a questi ultimi gli espedienti (la svalutazione monetaria esasperata) che erano soliti utilizzare per mantenere in piedi la propria economia necessitante da tempo di riforme; per utilizzare una metafora sportiva: durante una maratona ha vietato l’utilizzo del doping a quei concorrenti bolsi che ne facevano spesso uso per mantenere alte le proprie prestazioni. La Germania è “troppo grande per l’Europa e troppo piccola per il mondo” non solo da oggi ma dal 1871 (come disse Henry Kissinger, navigato ex Segretario di Stato degli USA) e il suo predominio economico non è un fenomeno inatteso e innaturale, di ciò bisogna rendersene conto e al più presto.
La soluzione viene quindi dai processi indipendentisti citati poc’anzi: in un’Unione Europea basata sui veri popoli (ovvero quelli rappresentati ora dalle regioni), si armonizzerebbero le storture dette in precedenza: economie floride ma inespresse e tendenti all’asfissia come quella lombarda o catalana diverrebbero giuste protagoniste al pari di quella bavarese, e non dovrebbero confrontarsi con lo strapotere rappresentato da uno Stato unico tedesco, deframmentato nei vari Länder (regioni) che ora lo compongono. Le zone europee depresse, come il Mezzogiorno o la bassa penisola iberica non vivrebbero più di trasferimenti statali (nelle cui pieghe si nasconde il cancro della corruzione) dalle zone più floride ma sarebbero costrette ad attivarsi per migliorare la propria economia, puntando sulle possibilità attualmente inespresse, quali il turismo o il miglioramento della produzione agricola di qualità e sfruttando la propria posizione geografica per porsi come punto di riferimento europeo verso i mercati nordafricani.
La strada del “fuori da tutto”, “via dall’Unione Europea e via dall’Euro” è una scorciatoia più emotiva che razionalmente ponderata, e che probabilmente porterebbe la Lombardia a rimanere imprigionata nel ruolo del solito Pantalone destinato a pagare per il resto delle altre regioni (in quanto non avrebbe sì più a che fare con l’Unione Europea, ma rimarrebbe al servizio economico e politico di Roma!) e a fare poi i conti non solo con la concorrenza americana, cinese e russa, ma anche con quella dell’UE stessa. Auguriamoci quindi che i processi di autodeterminazione catalani e scozzesi vadano a buon fine, e che la Lombardia possa nel breve tempo fare altrettanto; è l’unico modo per rinnovare completamente l’Unione Europea, prima che essa stessa ci porti tutti alla rovina da Edimburgo a Lampedusa e da Lisbona a Riga.
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