martedì 14 febbraio 2012

I vincoli del patto di stabilità vanno ripensati in una logica territoriale.

I vincoli del patto di stabilità vanno ripensati in una logica territoriale,sta soffocando l’azione dei comuni al punto che potrebbe essere più correttamente definito come “il patto di instabilità e decrescita”.

  Il patto viene adottato in coerenza con la disciplina europea al momento dell’entrata nell’euro ed esteso alle amministrazioni locali con l’obiettivo di attuare politiche di rigore nell’attenzione della spesa pubblica e di incentivare le economie territoriali. Fin dalla sua prima introduzione in Italia, in altri Paesi è diversa l’interpretazione, il patto viene di fatto vincolato alla definizione di tetti sulle singole voci di spesa – corrente, indebitamento, in conto capitale, investimento – in modo uniforme per le singole amministrazioni territoriali del paese che presentano, invece, secolari diversità – i cosiddetti tagli lineari -. L’attenzione posta solo sugli input e non sugli output preclude la possibilità di collegare le risorse ai risultati e alle correlate responsabilità. Il patto in questo modo finisce per irrigidire e ingessare la gestione perché esclude qualsiasi forma di compensazione tra le voci di spesa soggette al vincolo e rispetto ai risultati. In questo modo viene meno la capacità da parte delle amministrazioni di organizzazione autonoma delle risorse e dei mezzi di produzione. Più diventano stringenti le regole così concepite più peggiora a livello locale la crescita perché finisce per ingessare il sistema di relazioni economiche e sociali tra soggetti, pubblici e privati, che operano sul territorio, in modo particolare le regioni del nord che dovrebbero trainare le altre, ne risultano maggiormente colpite. Le conseguenze di questo modello di patto si manifestano in una riduzione della spesa per investimenti – meno il 20% nel periodo 2004-2009 nel paese, di cui il 60% è coperto dai comuni -, minore capacità di intervento sulla spesa corrente – abbiamo circa 40 miliardi di euro di residui passivi ed un aumento per la spesa sociale del 20% dal 2004 -; la spesa sociale di grande criticità in questa fase è sostenuta per l’80% dai comuni. Il tetto sulla cassa ha indotto comuni che avevano disponibilità di cassa a non rispettare il patto per pagare le imprese creditrici; in Lombardia, nel 2009, sono 60 i comuni che si trovano in questa situazione come ha evidenziato l’analisi di Anci Lombardia. L’istanza di formulazione di incostituzionalità del patto per queste ragioni è stata rigettata ma senza l’indicazione di proposte correttive, così i saldi positivi, circa 1,2 miliardi di euro, ritornano allo stato e non ai comparti virtuosi. La manovra, così concepita, incide maggiormente al nord dove gli investimenti sono maggiori e l’economia più dinamica. Ripensare il patto di stabilità in una logica territoriale risponde alla necessità di uscire con chiarezza da un assetto istituzionale perennemente in bilico tra modello federale ed uno centrale; non vi può essere federalismo secondo la legge delega l.42/0 senza una struttura amministrativa coerente con la storia di un paese profondamente diverso nei singoli territori da sempre.

di Fabrizio Pezzani - Capo revisore dei conti di Milano
tratto da www.strategieamministrative.it

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