I vincoli del patto di stabilità vanno ripensati in una logica territoriale,sta soffocando l’azione dei comuni al punto che potrebbe essere più correttamente definito come “il patto di instabilità e decrescita”.
Il patto viene adottato in coerenza con la disciplina europea
al momento dell’entrata nell’euro ed esteso alle amministrazioni
locali con l’obiettivo di attuare politiche di
rigore nell’attenzione della spesa pubblica e di incentivare
le economie territoriali.
Fin dalla sua prima introduzione in Italia, in altri Paesi è
diversa l’interpretazione, il patto viene di fatto vincolato
alla definizione di tetti sulle singole voci di spesa – corrente,
indebitamento, in conto capitale, investimento – in
modo uniforme per le singole amministrazioni territoriali
del paese che presentano, invece, secolari diversità – i cosiddetti
tagli lineari -. L’attenzione posta solo sugli input
e non sugli output preclude la possibilità di collegare le
risorse ai risultati e alle correlate responsabilità. Il patto
in questo modo finisce per irrigidire e ingessare la gestione
perché esclude qualsiasi forma di compensazione tra le
voci di spesa soggette al vincolo e rispetto ai risultati. In
questo modo viene meno la capacità da parte delle amministrazioni
di organizzazione autonoma delle risorse e dei
mezzi di produzione.
Più diventano
stringenti le regole così concepite più peggiora a livello locale
la crescita perché finisce per ingessare il sistema di
relazioni economiche e sociali tra soggetti, pubblici e privati,
che operano sul territorio, in modo particolare le regioni
del nord che dovrebbero trainare le altre, ne risultano
maggiormente colpite.
Le conseguenze di questo modello di patto si manifestano
in una riduzione della spesa per investimenti – meno il 20%
nel periodo 2004-2009 nel paese, di cui il 60% è coperto dai comuni -, minore capacità di intervento sulla spesa corrente
– abbiamo circa 40 miliardi di euro di residui passivi
ed un aumento per la spesa sociale del 20% dal 2004 -; la
spesa sociale di grande criticità in questa fase è sostenuta
per l’80% dai comuni. Il tetto sulla cassa ha indotto comuni
che avevano disponibilità di cassa a non rispettare
il patto per pagare le imprese creditrici; in Lombardia, nel
2009, sono 60 i comuni che si trovano in questa situazione
come ha evidenziato l’analisi di Anci Lombardia.
L’istanza
di formulazione di incostituzionalità del patto per queste
ragioni è stata rigettata ma senza l’indicazione di proposte
correttive, così i saldi positivi, circa 1,2 miliardi di euro,
ritornano allo stato e non ai comparti virtuosi. La manovra,
così concepita, incide maggiormente al nord dove gli
investimenti sono maggiori e l’economia più dinamica.
Ripensare il patto di stabilità in una logica territoriale risponde
alla necessità di uscire con chiarezza da un assetto
istituzionale perennemente in bilico tra modello federale
ed uno centrale; non vi può essere federalismo secondo
la legge delega l.42/0 senza una struttura amministrativa
coerente con la storia di un paese profondamente diverso
nei singoli territori da sempre.
di Fabrizio Pezzani - Capo revisore dei conti di Milano
tratto da www.strategieamministrative.it
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