Ho letto l’articolo di Giulio Mattu su “L’Indipendenza” di un paio di giorni fa e
ho ritenuto di aggiungere, anch’io, alcune informazioni a quanto ha
scritto, perché, da quando sono entrato (ingenuo e “ignorante”) in
politica, nel marzo 1994, ho imparato che una sola cosa è fondamentale e
indispensabile al politico “onesto”, ossia : “capire la verità e raccontarla al popolo”. Cioè, proprio il contrario di quanto avviene ogni giorno, oggi.
Sono, infatti, fermamente convinto che il degrado della politica
italiota sia da imputare “in primis” alla mancanza di onestà (= alla
disonestà) che ha sempre contraddistinto i vertici di ogni tipo di
potere; una mancanza di etica che si può scoprire in
ogni aspetto della vita quotidiana, “come in cielo, così in terra”,
tanto nelle “alte sfere” quanto nelle più modeste attività. Non ci sono
state (mai) grandi riflessioni su questa nostra caratteristica nazionale
e coloro che ci hanno provato sono giunti alla conclusione che questa
nostra “disonestà” culturale è, antropologicamente, figlia di due
genitori : il “diritto romano” (a Roma si può acquistare tutto, anche le
leggi… grazie all’interpretazione faziosa, di comodo…) e la “religione
cattolica” (non ha importanza quale peccato tu abbia commesso, né quante
volte, basta che tu ti confessi e ritorni lindo e innocente come un
bimbo….). Dove volete che si possa andare con queste premesse?
Ma voglio tornare al tema principale del mio intervento per affermare che il patto di stabilità “di cui si sente sempre più parlare, in questi periodi”,
non è proprio così recente, perché fu applicato in Italia con la
Finanziaria del 1999, ma solo nel 2005 fu modificato e inasprito con i
vincoli di spesa per i Comuni che, tuttora, lo subiscono. E’ vero, come
scrive Mattu, che l’origine del vincolo ai Comuni fu posto per poterne
congelare i “residui attivi di bilancio” che furono così utilizzati
dallo Stato italiano per giustificare all’Unione Europea “dove andava a
prendere i soldi, in quello specifico frangente” (copertura
finanziaria), ma è altrettanto vero che, così facendo, solo i Comuni in
attivo, cosiddetti “virtuosi”, venivano penalizzati rispetto a quelli
che erano in “deficit” (in grande maggioranza meridionali e grandi
metropoli), ma qui si apre una nuova grande questione.
Da
più parti, anche autorevoli sottosegretari di governo, da me
interpellati, anche pubblicamente, hanno giustificato il vincolo del
patto di stabilità, imposto ai Comuni, per impedire loro di fare debiti,
ignorando, però, che i Comuni, per legge e da sempre, sono sottoposti alla regola (chiamata “aurea” in occasione della recente riforma costituzionale del bilancio statale) dell’ “obbligo del pareggio di bilancio”, ragion per cui, per legge non dovrebbero poter fare debiti!
Per ulteriore spiegazione, al lettore, aggiungo che qualora la
ragioneria (amministrazione) di un Comune, nel corso dell’anno (cioè, in
ogni momento!) si accorgesse o avesse solo la sensazione che le entrate
non fossero sufficienti a coprire le spese, il dirigente di ragioneria
(e sottolineo, un dipendente del Comune stesso, quindi) ne dovrebbe
informare, formalmente, il Sindaco che ha trenta giorni di tempo per far
approvare dal Consiglio comunale la variazione di bilancio, necessaria a
riequilibrare il pareggio di legge.
Pertanto, è stato falso affermare che il patto di stabilità è stato
imposto ai Comuni per impedire che si indebitassero perché, per legge,
non possono farlo, anzi, se ciò capitasse vi è la responsabilità penale
dei dipendenti (dirigenti e impiegati) che non l’hanno segnalato agli
amministratori (i politici!), dipendenti che saranno chiamati a
rispondere “in solido” dei danni procurati all’erario, com’è stato nel
caso del Comune di Catania, di cui, però, non si è più saputo nulla.
Ma quello che ha fatto di peggio, il premier Monti (il “tecnico”) è
la decisione di incamerarsi, come Stato, la metà dell’ ICI (adesso si
chiama IMU) che incassavano i Comuni, la loro principale voce di
entrata, in questo modo, obbligandoli ad aumentare l’ IMU delle
addizionali facoltative (diventate inevitabili e obbligatorie per
recuperare quello che è stato loro “rubato”) e scaricando così,
astutamente, sui Comuni la figura impopolare di aumentare le tasse
locali alla popolazione.
Mi sono posto la domanda : “Perché Monti non ha ridotto, fino ad
azzerarli, i trasferimenti statali ai Comuni, anziché confiscare la metà
delle entrate dell’ ICI/IMU?”
Ebbene, io credo che la risposta sia di natura psicologica anziché
tecnica e cioè “mi sapete dire quale autorità potrebbe mai avere uno
Stato centralista su un Comune che non riceve più alcun contributo da
lui? Con quale autorità uno Stato centralista, siffatto, potrebbe
imporre, ancora, regole e leggi ai Comuni se questi risultano essere
assolutamente autonomi in termini finanziari nelle loro entrate? Questa
stessa domanda mi sono posto, tante volte, quand’ero sindaco e
constatavo la disparità di trattamento nei trasferimenti statali che lo
Stato attuava, dando al mio Comune 100 euro/ad abitante, contro i 330
euro di Verona (che dista pochi chilometri) o i 215 euro che erano la
media dei Comuni del Veneto.
Grande fu la tentazione di rinunciare ad ogni trasferimento statale,
ma poter dire allo Stato: “Siccome da te non riceviamo nulla, non hai
più alcuna potestà nei nostri confronti, pertanto, non vogliamo nulla da
te e quindi ci governeremo, autonomamente, senza, però, dover
rispettare ancora le tue regole, patto di stabilità incluso.”
Questa sarebbe stata una innegabile dimostrazione di autonomia e indipendenza.
di Silvano Polo
socio fondatore di Veneto Stato
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