mercoledì 23 gennaio 2013

DIRITTO DI DIVORZIARE di Alessandro Storti



"Non si salva un matrimonio
dichiarando illegale il divorzio."
BASTA ITALIA, BASTA VOLERLO!
LOMBARDIA INDIPENDENTE!


Spesso mi capita di discutere con militanti del PD a proposito del diritto di secessione. Non sto parlando di “militonti”, bensì di attivisti con ottime referenze scolastiche e lavorative, persone preparate e che tendono ad informarsi a 360 gradi, senza paraocchi. Ebbene, quando spiego loro che la Regione del Veneto o la Regione Lombardia hanno il diritto di indire un referendum per decidere del proprio status istituzionale, essi obiettano che la democraticità di tale deliberazioni dovrebbe risiedere innanzitutto nel rispetto delle norme costituzionali italiane, che ad oggi precluderebbero tali iniziative.
Apparentemente un ragionamento che, come si dice, non fa una grinza.
C’è però un aspetto sostanziale che sfugge a questi miei amici. Un aspetto che invece evidentemente non sfugge, ad esempio, al leader di ERC, Oriol Junqueras, che ha respinto al mittente la richiesta dei socialisti catalani di votare la Dichiarazione di Sovranità catalana riconducendola entro i limiti della legge spagnola.
Il presidente della formazione della sinistra indipendentista catalana ha detto che “el dret de decidir dello status istituzionale della Generalitat de Catalunya” ( il diritto di decidere dello status istituzionale del Parlamento della Catalonia) appartiene ai cittadini catalani, non alla legalità spagnola.
Ecco il punto cruciale della questione. Pretendere che un moto separatista democratico e pacifico si conformi ai dettami costituzionali e normativi dello stato unitario di appartenenza significa impedire, di fatto, ad una minoranza - in senso demografico- di poter decidere di se stessa. È evidente infatti che taluni meccanismi legali sono insuperabili senza poter disporre di maggioranze parlamentari moto ampie.
E come potrebbe ottenere un tale tipo di maggioranza una comunità che, pur considerata nella sua totalità demografica, è già minoranza?
Pretendere che gli indipendentisti lombardi o veneti, per rispettare la democrazia formale italiana, si attivino innanzitutto per modificare radicalmente l’articolo 5 della Costituzione -che, peraltro, parte della dottrina ritiene comunque immodificabile, ma qui siamo al feticismo normativo patologico- sarebbe come pretendere che una moglie debba chiedere il permesso al marito per separarsi da lui. La legge può giustamente stabilire procedure garantiste per entrambe le parti, al fine di condurle a separazioni e divorzi quanto più possibile condivisi ed equilibrati, questo sì. Ed è precisamente in tale ottica che si stanno moltiplicando, in sede europea, le iniziative volte ad ottenere la definizione di procedure certe, ragionevoli, sicure per l’esercizio dell’autodeterminazione di regioni e territori facenti parte degli stati membri. Ma pensare che un divorzio, così fra coppie sposate come fra istituzioni, debba avere il benestare di entrambi è pura follia.
Tanto più se tale permesso richiederebbe modifiche di testi di legge che necessitano di maggioranze nette, quando non addirittura speciali, per essere approvate. Ben al di là del peso demografico e rappresentativo complessivo del territorio che si voglia distaccare dallo stato.
Ecco allora il punto, cari amici piddini. Il diritto di secessione è una facoltà prepolitica e un diritto naturale, che viene prima delle norme di una costituzione. Soprattutto laddove queste ultime, ben lungi dal riconoscere l’esistenza di tale diritto, tendano piuttosto ad escluderlo o a renderne di fatto impossibile la fruizione. Norme di tal fatta, come l’art. 5 della carta repubblicana italiana, non possono quindi rappresentare una cornice autenticamente democratica entro cui esercitare il proprio diritto di scelta.
Essi sono, semmai, retaggi di costituzioni totalitarie, che fortunatamente la rapidità dei progressi storici sta rendendo del tutto obsoleti.

di Alessandro Storti ( pro Lombardia Indipendenza)

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