di DARIO RONZONI
I territori nella crisi tra investimenti rinviati e imprese non pagate.
Alcuni hanno i soldi in cassa ma non li possono usare: bloccati dai vincoli, chiedono di sforare.
Quando si parla di comuni, le storie si somigliano tutte. C’è il
comune di Pavia, che a causa del patto di stabilità, non può pagare i
lavori per la nuova sede del Tribunale. A Concorezzo, in Brianza, i
lavori di manutenzione sono bloccati, e non si può pagare l’impresa che
li sta eseguendo perché i soldi devono essere tenuti da parte. Perché?
Sempre per il patto di stabilità. E sono solo alcuni casi. Non c’è
comune, più o meno virtuoso, che non abbia il suo cahier de doléances
sulla questione: lavori eseguiti e mai pagati, lavori da eseguire ma che
non si possono pagare, il tutto con debiti che, se si guardasse solo ai
soldi disponibili in cassa, sarebbero anche coperti. E invece non si
può, perché il Patto di stabilità blocca tutto.
«Per questo i comuni protestano», spiega Angelo Rughetti, segretario generale dell’Anci, «minacciano di pagare le imprese, e di sforare». Anche perché, «senza questo genere di mobilitazione, non sarebbero nemmeno ascoltati». Ma forse qualcosa si muove: almeno in Europa ci sono stati segnali di distensione e di ammorbidimento, con promesse di ritrattazione. Non fosse stato così, come già annunciato più volte, i Comuni erano pronti a infrangere le limitazioni.
Sforare implica non rispettare l’obiettivo, fissato per legge, del Patto di Stabilità: il pareggio di bilancio (che è un requisito minimo) tra entrate e uscite. «Più una percentuale, un surplus di entrate, che varia dal 14% a 19%», che andrà messo da parte. È l’obiettivo specifico: viene calcolato sulla base della spesa media corrente sostenuta nel periodo 2007-2009. Più alta per i Comuni non virtuosi. Più bassa per chi ha saputo risparmiare. La novità, poi, è che da quest’anno il Patto di Stabilità si applica anche ai comuni con 1001 abitanti. «E molti di loro non erano preparati».
Il bilancio deve essere in attivo e «migliorare di anno in anno». L’obiettivo è di accantonare le risorse per coprire il deficit nazionale. Punto di riferimento è il «saldo di competenza mista» cioè la somma algebrica di ciò che rimane dalla differenza tra accertamenti e impegni (per la parte corrente) e di ciò che resta tra incassi e pagamenti (per la parte in conto capitale), al netto della riscossione e concessione di crediti. «Così strutturata, è evidente: la legge ci impedisce di fare investimenti, e di pagare opere necessarie per la collettività, o già fatte o da fare».
Una serie di ostacoli che vanno a colpire un mondo, quello dell’amministrazione comunale «già in grande difficoltà», come spiega Pier Attilio Superti, segretario generale dell’Anci lombardo. Si comincia con «il taglio dei trasferimenti: dai 15 miliardi del 2010 ai 6 miliardi di quest’anno». Poi, la «spesa sociale quasi del tutto azzerata». Poi, «il Patto di Stabilità, che va a comprimere gli investimenti». E ancora, «l’impossibilità dei comuni di contrarre mutui in cui gli interessi siano superiori al 4% delle entrate». Gli enti si impoveriscono, il loro raggio di azione è sempre più limitato. Anche le possibilità di sostegno dell’economia diventano minime. Lo stesso Comune rischia di non riuscire a far fronte alle spese e a fallire. E allora come fa?
«Bella domanda: c’è chi copre i buchi alienando il patrimonio». Ma, anche questo, «è un rimedio d’emergenza. È momentaneo e, al tempo stesso, sottrae risorse per il futuro. Dopo che li ha venduti, si ritrova nella stessa situazione di prima». Oltre al fatto che «non lo possono fare tutti. Milano, che è un grande comune, ha un patrimonio che può vendere. Ma più si scende nelle dimensioni, più è difficile. Si rischia di rimanere senza la sede per i carabinieri, o per il medico». Oppure, «con le tasse. Ma quanto? Più di quello che c’è già c’è poco da fare: Imu e Tares. E più aumenta il gettito, più lo Stato taglia i trasferimenti». A meno che non si vada a colpire «le seconde case, o si aumenti a dismisura l’Imu sulle attività produttive».
Altrimenti, «bisogna tagliare: meno illuminazione; meno centri per gli anziani; meno assistenti sociali, o nessuno del tutto; diminuire il riscaldamento nelle scuole; tagliare la cancelleria; tagliare i dipendenti; accorpare i servizi e farsi carico anche delle spese dei vicini», continua Superti. «Ma facendo così, uno non fa più il sindaco, ma il commissario liquidatore».
Per questo la proposta è di sbloccare i residui passivi, cioè «le risorse che i Comuni hanno a disposizione ma che non possono utilizzare destinate al pagamento delle spese». Questo darebbe ossigeno alle imprese, senza immettere risorse fisiche sul mercato. «Una scelta nemmeno grave: comporta un peggioramento dello 0,3% del deficit, che sarebbe comunque inferiore al 3%». E «si possono riprendere dal gioco d’azzardo, per esempio». Oltre che dare «un po’ di vitalità all’economia». In ogni caso, forzando i termini del Patto, o allentandolo. Perché di troppa rigidità si può morire.
«Per questo i comuni protestano», spiega Angelo Rughetti, segretario generale dell’Anci, «minacciano di pagare le imprese, e di sforare». Anche perché, «senza questo genere di mobilitazione, non sarebbero nemmeno ascoltati». Ma forse qualcosa si muove: almeno in Europa ci sono stati segnali di distensione e di ammorbidimento, con promesse di ritrattazione. Non fosse stato così, come già annunciato più volte, i Comuni erano pronti a infrangere le limitazioni.
Sforare implica non rispettare l’obiettivo, fissato per legge, del Patto di Stabilità: il pareggio di bilancio (che è un requisito minimo) tra entrate e uscite. «Più una percentuale, un surplus di entrate, che varia dal 14% a 19%», che andrà messo da parte. È l’obiettivo specifico: viene calcolato sulla base della spesa media corrente sostenuta nel periodo 2007-2009. Più alta per i Comuni non virtuosi. Più bassa per chi ha saputo risparmiare. La novità, poi, è che da quest’anno il Patto di Stabilità si applica anche ai comuni con 1001 abitanti. «E molti di loro non erano preparati».
Il bilancio deve essere in attivo e «migliorare di anno in anno». L’obiettivo è di accantonare le risorse per coprire il deficit nazionale. Punto di riferimento è il «saldo di competenza mista» cioè la somma algebrica di ciò che rimane dalla differenza tra accertamenti e impegni (per la parte corrente) e di ciò che resta tra incassi e pagamenti (per la parte in conto capitale), al netto della riscossione e concessione di crediti. «Così strutturata, è evidente: la legge ci impedisce di fare investimenti, e di pagare opere necessarie per la collettività, o già fatte o da fare».
Una serie di ostacoli che vanno a colpire un mondo, quello dell’amministrazione comunale «già in grande difficoltà», come spiega Pier Attilio Superti, segretario generale dell’Anci lombardo. Si comincia con «il taglio dei trasferimenti: dai 15 miliardi del 2010 ai 6 miliardi di quest’anno». Poi, la «spesa sociale quasi del tutto azzerata». Poi, «il Patto di Stabilità, che va a comprimere gli investimenti». E ancora, «l’impossibilità dei comuni di contrarre mutui in cui gli interessi siano superiori al 4% delle entrate». Gli enti si impoveriscono, il loro raggio di azione è sempre più limitato. Anche le possibilità di sostegno dell’economia diventano minime. Lo stesso Comune rischia di non riuscire a far fronte alle spese e a fallire. E allora come fa?
«Bella domanda: c’è chi copre i buchi alienando il patrimonio». Ma, anche questo, «è un rimedio d’emergenza. È momentaneo e, al tempo stesso, sottrae risorse per il futuro. Dopo che li ha venduti, si ritrova nella stessa situazione di prima». Oltre al fatto che «non lo possono fare tutti. Milano, che è un grande comune, ha un patrimonio che può vendere. Ma più si scende nelle dimensioni, più è difficile. Si rischia di rimanere senza la sede per i carabinieri, o per il medico». Oppure, «con le tasse. Ma quanto? Più di quello che c’è già c’è poco da fare: Imu e Tares. E più aumenta il gettito, più lo Stato taglia i trasferimenti». A meno che non si vada a colpire «le seconde case, o si aumenti a dismisura l’Imu sulle attività produttive».
Altrimenti, «bisogna tagliare: meno illuminazione; meno centri per gli anziani; meno assistenti sociali, o nessuno del tutto; diminuire il riscaldamento nelle scuole; tagliare la cancelleria; tagliare i dipendenti; accorpare i servizi e farsi carico anche delle spese dei vicini», continua Superti. «Ma facendo così, uno non fa più il sindaco, ma il commissario liquidatore».
Per questo la proposta è di sbloccare i residui passivi, cioè «le risorse che i Comuni hanno a disposizione ma che non possono utilizzare destinate al pagamento delle spese». Questo darebbe ossigeno alle imprese, senza immettere risorse fisiche sul mercato. «Una scelta nemmeno grave: comporta un peggioramento dello 0,3% del deficit, che sarebbe comunque inferiore al 3%». E «si possono riprendere dal gioco d’azzardo, per esempio». Oltre che dare «un po’ di vitalità all’economia». In ogni caso, forzando i termini del Patto, o allentandolo. Perché di troppa rigidità si può morire.
Nessun commento:
Posta un commento