mercoledì 28 settembre 2011

Perchè qualunque governo italiano non affronta im modo radicale il debito pubblico?

Parte del 2° capitolo del libro LE CHIAVI DEL POTERE di Marco Della Luna, edito nel 2003
Perché in Italia non si affronta strutturalmente il debito pubblico? In Italia esiste, o è esistita fino a poco fa, un solo partito e una sola politica: quelli del debito pubblico. Il debito pubblico, mal- grado ogni contraria dichiarazione e malgrado tutte le cosiddette manovre, non è mai stato né mai verrà combattuto, bensì accura- tamente coltivato. Al massimo verrà potato. Persino il governo Berlusconi-bis non sembra capace di ridurlo, a un anno dal suo insediamento. Nel 1997, esso era pari al 124% del PIL. Il debito pubblico è infatti per la classe politica non un male, ma all’opposto uno strumento potentissimo e facilissimo da usare per mantenersi al potere ed arricchirsi. L’acquisto del consenso elettorale e dei grandi potentati - anche religiosi, vedi spese giubilari - col denaro pubblico e con elargizioni di promesse di sovvenzioni, pensioni, etc., è il più semplice ed effi- ciente dei modi di restare al potere, e di restarci anche quando tutto va a rotoli proprio a causa di questa tecnica di ricerca del consenso, ed è praticabile anche da parte di persone prive di grandi capacità. D’altronde, ai posti di potere si viene designati dalle strutture partitiche ed economiche in base alla capacità di ‘estrarre’ e spar- tire soldi dalla spesa e dall’azione pubblica, quindi un politico che si proponesse di fare gli interessi della res publica non potrebbe far carriera: non avrebbe organizzazione alle spalle. Inoltre, per stare al potere, deve proteggere i privilegi degli ‘effettori’ del pote- re stesso, ossia dei burocrati, dei funzionari, di molti impiegati, che sono abituati a ‘rubare’ e lo considerano come un diritto, sic- chè boicottano chi cerca di togliere loro questo redditto. L’organizzazione è l’organizzazione di chi vuole mangiare, di chi persegue il profitto, di chi può pagare mezzi e collaboratori. Se non rubi o non consenti di rubare per pagarla, nessuno te la rega- la. Negli anni ’80 siamo arrivati al punto di saturazione: pratica- mente tutti gli atti di pubblico potere da cui è possibile ‘rubare’, vengono asserviti al ‘furto’. Dovunque sia possibile ‘mangiare’, si ‘mangia’; chi non si presta, non rende, non può remunerare chi lo tiene su, quindi viene sostituito da qualcuno più performante. Gli spazi per decisioni di buona amministrazione sono pressoché annullati. Come pure le motivazioni ad amministrare in modo effi- ciente. Questa è una causa strutturale della generalmente pessima ammi- nistrazione della cosa pubblica. Questa è anche la vera ragione del- l’abbandono della politica di energia nucleare in Italia: si sapeva che il sistema era troppo corrotto per gestire efficacemente le centrali nucleari: avrebbe imposto la sua logica anche in questo campo, come segretamente avvenuto con una certa centrale nucleare (mi ricordo quando si mise a perdere acqua del circuito, e mio padre, ingegnere idraulico, fu convocato nel pieno della notte, e quando rincasò riferì cose allucinanti), sicchè qualche incidente atomico era pressochè certo; e si decise di prevenirlo abbandonando il settore. Lorsignori non volevano rischiare di finire arrostiti assieme ai propri soldi e ai contribuenti da cui li avevano presi. Per dare un’idea concreta della prassi della pubblica ammini- strazione, farò un esempio di situazioni che ben conosco: gli appalti di opere pubbliche. Mio padre fu a lungo ingegnere di un ufficio tecnico provinciale, sezione strade e ponti. Negli anni ’60, quando ero bambino, iniziò a spiegarmi come andavano le cose, portandomi in ufficio e sui cantieri in modo che constatassi di per- sona e imparassi per benino. In sintesi, mi spiegava quanto segue. Per cominciare, le stesse gare di appalto e i capitolati erano oggetto di negoziazione tra segreterie politiche e imprenditori, e qui si compiva il primo giro di tangenti, e i bandi di concorso veni- vano formulati in modo da favorire chi le aveva pagate. In seguito, la gara veniva truccata in diversi modi: per esempio, l’impresa che aveva corrotto per vincere veniva agevolata facen- dole conoscere illegalmente le offerte d’asta delle altre e permet- tendole di sostituire la propria offerta originaria con una formula- ta appositamente. Nella successiva fase di esecuzione delle opere, le imprese aggiudicatarie degli appalti corrompevano ingegneri, geometri e assistenti della pubblica amministrazione per farsi certificare l’e- secuzione di quantità di lavori superiori a quelle reali, ossia, per esempio, che avevano movimentato 100.000 metri cubi di terra anziché 80.000, che avevano apportato 10.000 metri cubi di sab- bia anziché 7.000, che avevano posato uno strato di 30 centimetri di ghiaia nella sede stradale anziché 20, che avevano gettato manto bituminoso per 20 centimetri anziché 15, che avevano fatto le opere in calcestruzzo con la prescritta percentuale di cemento, anziché col 15% di meno, e che le avevano armate con un tondino di un certo diametro, anziché di uno minore. Sul cantiere, inoltre, a scadenze si presentavano poliziotti e/o carabinieri a ricevere il compenso per lasciar circolare gli autocarri dell’impresa, sempre in sovraccarico per risparmiare sui costi. Praticamente ogni cosa che veniva fatta era occasione di frode e di corruzione. A tutti i livelli, i soggetti interessati a questi lavori - sindaci, assessori, con- siglieri comunali, tecnici pubblici e privati, imprese, liberi profes- sionisti - accettavano e partecipavano a siffatte pratiche come nor- mali. In effetti, chi partecipava lavorava, e chi si opponeva veniva tagliato fuori. I pochi che si opponevano, che denunciavano, resta- vano inascoltati e inefficaci. Di indagini della procura della repub- blica, neanche a parlare. Si stimava che, in tali condizioni, l’effi- cacia della spesa pubblica - ossia il valore delle opere realizzate effettivamente in rapporto al loro costo - fosse tra il 40% e il 50% per cento. Strade e ponti venivano così fatti maluccio, presto ave- vano bisogno di notevoli manutenzioni o rifacimenti, e queste opere venivano appaltate ed eseguite al solito modo, in perpetuum. La massa del profitto illecito produceva consenso e appoggio verso le istituzioni e i partiti politici, e voti e seggi, locali e non. In quarant’anni su scala nazionale le cose non sono cambiate, se non per un aspetto: da un decennio circa si fanno più denunce penali e più indagini. Che di solito vengono insabbiate o altrimenti neutra- lizzate. Se ciò avvenga per illecite intimidazioni verso alcuni magistrati, quindi per insufficiente autonomia e indipendenza della magistratura, o perché anche alcuni magistrati o gruppi di magistrati sono entrati nel sistema aggiungendosi a politici e amministratori e funzionari, o per altre ragioni ancora lo dirà la Storia. Naturalmente anche il privato dipendente, non altrimenti che quello pubblico, è portato ad arraffare, come dimostra il caso del- l’aeroporto Marco Polo di Venezia, dove videocamere nascoste hanno mostrato come nove su dieci dei dipendenti che avevano la possibilità di rubare dai bagagli dei passeggeri, lo facevano. E il decimo, ovviamente, era troppo timido per parlare. Un sistema analogo di furto organizzato è stato recentemente scoperto all’ae- roporto di Malpensa. E si è scoperto, poi, che continuava anche dopo l’inizio del procedimento penale! Una politica di risanamento si scontrerebbe non solo con la real- tà suddescritta, ma pure con l’irrinunciabilità dell’illusione e l’i- naccettabilità per le masse della cruda verità, ossia delle dimen- sioni del dissesto finanziario, delle sue implicazioni, e degli impo- polari rimedii che soli sarebbero efficaci. E del crollo dei miti ideologici usati per arrivare al disastro. Ma ancora più irrinuncia- bile di tale illusione per le masse, sarebbe per i politici rinunciare allo strumento della spesa pubblica per l’acquisto dei consensi. Le sinistre al potere non hanno mai fatto una politica di sinistra, bensì di destra, in favore del grande capitale (dual income tax al 18% contro una media europea del 33%), con qualche contentino ai percettori di redditi bassi (d.i.t. al 27%) e bieca spremitura dei ceti intermedi, quelli che ‘disturbano’ maggiormente (60%). Il governo Berlusconi-bis ha cercato di porre rimedio alzando la d.i.t. per la grande impresa verso il 30% ed esonerando da essa i redditi bassi, ma continua la spremitura dei ceti medi. Le sinistre hanno scientificamente usato l’imposizione fiscale per consolidare il proprio potere impedendo l’attività di opposi- zione e la giusta protesta, nel seguente modo: aumentano la pres- sione fiscale fino al 70% del reddito interno. Conseguentemente, la società si struttura in 3 gruppi: a) I beneficiari delle tasse. Sono coloro che gestiscono il gettito fiscale, lo usano per arricchirsi, arricchire gli amici, e comperare mass-media e consensi. Ovviamente questi sostengono la classe dirigente: sono essi stessi questa classe. Comprendono anche gran- di imprese, come la Fiat, che, con la minaccia (o pretesto) di licen- ziare dipendenti, hanno sempre ottenuto enormi sussidi dallo Stato - denaro del contribuente - e che, con questi sussidi, fanno con- correnza alle imprese nazionali ed estere non sussidiate, socializ- zando così non solo le perdite, ma anche i costi. b) I soggetti che dipendono dagli aiuti dello Stato per sopravvi- vere, quindi non possono permettersi di protestare. Trattasi di: grandi imprese private e imprese pubbliche e loro dipendenti, che perderebbero il lavoro se lo Stato non sovvenzionasse le imprese pubbliche o non le proteggesse dalla concorrenza, perché queste imprese non sono concorrenziali; dipendenti pubblici, che sono numerosissimi e in buona parte superflui o inoperosi (di solito, fanno un secondo lavoro nero); persone che percepiscono pensioni senza averne diritto (milioni di falsi invalidi civili e altri); lavora- tori disoccupati mantenuti dalla Cassa integrazione dei salari; etc. c) I soggetti produttivi - perlopiù lavoratori autonomi, artigiani, imprenditori, professionisti, e in Italia ci sono 13 milioni di lavo- ratori individuali - che, se pagassero tutte le tasse che il governo gli chiede - dal 60 al 70% del reddito - dovrebbero chiudere o fal- lire, perché non reggerebbero più la concorrenza. Quindi sono costretti, da un lato, ad evadere il fisco sperando di non incorrere in un controllo fiscale, e dall’altro a non protestare contro la poli- tica fiscale del governo, perché chi protesta rischia concretamente di subire un controllo fiscale, o previdenziale, ritorsivo. Il regime costringe questi soggetti a violare la legge per sopravvivere, in modo da poterli ricattare, ma anche per poterli additare come capro espiatorio, quali evasori fiscali e perciostesso responsabili della crisi finanziaria e dell’alto livello di fiscalità, portatori cioè delle colpe che in realtà sono del regime stesso. In questo gruppo rientrano i veri schiavi del sistema: milioni e milioni di piccoli e piccolissimi imprenditori, artigiani, bottegai, pubblici esercenti - quella categoria che produce circa il 50% del Pil - i quali, indebitati con banche e fornitori, anche avanti negli anni, arrischiando ogni avere proprio e della famiglia, lavorano dodici, tredici, anche diciotto ore al giorno, sei o sette giorni alla settimana, senza vacanze, con guadagni miseri e incerti (spesso assieme ai propri familiari non retribuiti), senza diritti (per malat- tia, infortunio, maternità, ferie, pensione) ma con tutti i doveri; e non lo fanno liberamente: essi devono costantemente lottare per pagare i debiti, per non finire protestati, per non fallire e perdere tutto - casa per prima, data in garanzia alla banca - nell’angoscia, con l’acqua alla gola, contro la pressione fiscale e contributiva, la scarsa qualità professionale e morale della forza lavoro, il costo del denaro e i soprusi delle banche, le insolvenze di clienti e la pra- tica inesistenza della giustizia quando si tratta di recuperare i loro crediti o di difendere i loro beni dalla criminalità. Questi sono i forzati dell’economia, gli schiavi che, colle loro fatiche e il loro calvario, spesso perdendo tutto, pagano il costo dei privilegi di altre categorie imprenditoriali che li sfruttano, dell’ingrasso delle banche e degli usurai, ma anche degli ammortizzatori sociali, dei sussidii alla grande industria, dei ‘diritti’ dei lavoratori dipenden- ti. Altro che articolo 18! Sono queste le spiacevoli e non notiziabili realtà che io, come quasi tutti gli avvocati e i commercialisti, vedo e tocco con mano quotidianamente, e che molti intellettuali, artisti, letterati italiani, ‘progressisti’, tradizionalmente simpatizzanti della sinistra, sareb- be ora che venissero a conoscere e incominciassero a difendere. Quindi, riprendendo e concludendo: col suddetto sistema il regi- me si assicura il consenso dei cittadini mediante, rispettivamente, la complicità (gruppo a), il bisogno (gruppo b), la paura (gruppo c). Questi strumenti sono il contrario della democrazia e dello Stato di diritto. E sono la base del potere, la base della governabi- lità. Ma sono anche tipicamente comunisti. I comunisti infatti, sempre e dappertutto, tendono a distruggere la ricchezza che non possono dominare e a criminalizzare ciò che non sanno fare. Costanti che ritroviamo nelle tattiche di persecuzione di Silvio Berlusconi, ampiamente basate sulla fomentazione dell’invidia per il ricco e capace. Per il ricco-perché-capace. Mentre, esatta- mente all’opposto, il fatto che Berlusconi si sia tanto affermato e realizzato dovrebbe essere valutato a suo favore: le persone peri- colose per la società sono quelle frustrate, che si sentono a credito verso la vita e verso il prossimo, non quelle realizzate. A proposito: è vero che il Pci ha mutato due volte nome e ‘valo- ri’, ma i suoi uomini di potere - nelle amministrazioni, nelle coo- perative, nelle banche, etc. - sono quasi completamente immutati. Andate a controllare i nomi.

1 commento:

  1. L'analisi sulla sinistra italiana fatta da Marco Della Luna è da condividere in toto. Non condivido la difesa di Berlusconi, che nel libro si fa sentire, perchè comunque lo stesso ostacola il cambiamento, facendo parte comunque del sistema italia che è irriformabile e ormai al collasso da tutti i punti di vista. BASTA ITALIA!!!

    RispondiElimina